Giacomo 5, 7-8
La lettera di Giacomo si differenzia nettamente dalle altre lettere del Nuovo Testamento perché contiene non tanto delle enunciazioni di tipo dottrinale, degli articoli di fede, quali si trovano per esempio nelle lettere di Paolo o di Giovanni, quanto piuttosto delle esortazioni morali. Anzi, si può dire che contrapponga la morale alla fede, come nel famoso passo nel quale sembra polemizzare contro l’apostolo Paolo affermando che la fede, se non ha opere, è per se stessa morta, e per il quale provoca l’irriducibile critica di Lutero, di essere una “lettera di paglia”.
Proprio per questo Giacomo si può definire non un vero e proprio teologo, ma un moralista o, come in effetti è stato definito, un cristiano rigorista. Tuttavia la lettera di Giacomo non è solo un catalogo di buone opere, ma contiene anche delle affermazioni di fede, come quanto esorta ad aspettare con pazienza la venuta del Signore, collocandosi così nel vasto solco della dottrina escatologica del Nuovo Testamento, che riguarda la fede nel ritorno di Cristo e nell’avvento del regno di Dio sulla terra.
Infatti, dopo la risurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo alla destra di Dio, la comunità dei primi credenti non è rimasta solo legata al ricordo di Gesù di Nazaret, un ricordo straordinario ma riguardante, in quanto tale, un tempo ormai passato, anche se recente e degno di essere rievocato con vivida emozione: un ricordo perciò destinato a svanire a poco a poco insieme alla graduale scomparsa della comunità stessa. Essa ha invece continuato a vivere, oltre che nel ricordo, anche nella incrollabile certezza che il Signore continuava, e continua, a essere presente, sia pure presente in Spirito e non più nella persona fisica di Gesù di Nazaret. Non solo questo, ma essa ha rivolto il suo sguardo anche al futuro, aspettando con speranza il compimento della promessa che Gesù ha fatto, di ritornare in gloria sulla terra.
La comunità dei discepoli di Cristo vive dunque la propria fede nel ricordo del passato, ma anche nella certezza del presente e soprattutto nella speranza del futuro. E tutte e tre queste esperienze non possono essere separate perché la fede cristiana non può sussistere senza fondarsi sulla persona e sull’opera di Gesù di Nazaret, senza essere consapevole dell’azione dello Spirito Santo e senza sperare nel ritorno di Cristo e nell’avvento del suo regno di giustizia e di pace. Possiamo anche dire che non si può guardare al futuro senza tener conto del presente e senza conservare chiaramente il passato nella propria memoria; e, con riferimento al brano che stiamo meditando, che non si può aspettare la venuta del Signore senza credere che prima la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo tra di noi, piena di grazia e di verità.
Ecco perché in questo periodo d’Avvento in cui noi siamo in attesa del Natale e meditiamo sul mistero dell’incarnazione di Dio in Gesù di Nazaret, possiamo e dobbiamo anche meditare sulla Parusia, sul ritorno del Signore tra noi. E in questa meditazione ci vengono incontro le parole della lettera di Giacomo che ci esortano ad aspettare con pazienza e con speranza il compimento della promessa di Gesù.
Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore.
Con questa esortazione Giacomo rivolge parole di incoraggiamento ai fratelli credenti che soffrono nella tribolazione, perché l’epoca in cui la lettera è scritta non è un’epoca tranquilla per la comunità cristiana. Infatti, non solo la sua condizione di minoranza la sottopone a forti pressioni da parte della maggioranza della popolazione e delle autorità religiose giudaiche, ma sono già cominciate le prime persecuzioni e lo stesso Giacomo ne sarà vittima qualche tempo dopo pagando con la lapidazione la sua testimonianza resa a Cristo. Ciò nonostante, i fratelli credenti non devono scoraggiarsi ma sopportare con pazienza i tempi difficili e, come l’agricoltore aspetta pazientemente fino all’ultima stagione la pioggia che farà maturare il frutto, così anche loro dovranno pazientare e fortificare i loro cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Anche noi oggi ci troviamo a soffrire svariate tribolazioni, ci troviamo di fronte a una crisi planetaria di valori morali e spirituali che è accompagnata da una non meno grave crisi economica e da un disastro ecologico-ambientale senza precedenti; ci troviamo di fronte a un fenomeno migratorio che sembra inarrestabile e che crea problemi di difficile soluzione; ci troviamo di fronte a gravi pericoli che minacciano la nostra tranquillità e perfino la nostra esistenza. In questi ultimi tempi, un gran numero di vittime innocenti sono cadute sotto i colpi di terroristi spietati, e in conseguenza di ciò molti nella nostra società invocano vendette indiscriminate che finirebbero col provocare altre vittime altrettanto innocenti; mentre molti altri invocano pervicacemente la guerra, pensando così di sconfiggere definitivamente il terrorismo, senza tener conto irresponsabilmente di quante morti, di quante sofferenze e di quante distruzioni la guerra procura a intere popolazioni inermi.
Ora, in una situazione come quella che caratterizza il nostro tempo e la nostra società, dobbiamo domandarci se l’esortazione di Giacomo riguarda anche noi; se anche noi siamo tra coloro che aspettano con impazienza la venuta del Signore, così come accadeva ai credenti della prima comunità cristiana ai quali Giacomo si rivolgeva; se siamo anche noi in trepidante attesa della Parusia, del ritorno in gloria del nostro Signore Gesù Cristo, così come egli ha promesso. E in generale, dobbiamo domandarci se nel nostro tempo e nella nostra società, cosiddetta cristiana, l’attesa della venuta del Signore è ancora una realtà attuale, oppure essa è scomparsa dall’orizzonte religioso della maggioranza delle persone, perché non se ne avverte più il bisogno o perché il Signore è stato sostituito con altri signori, con altri interessi, con altre attrazioni, con idoli che occupano e dominano incontrastati la vita di ognuno.
Ebbene, dobbiamo riconoscere che oggi l’attesa della venuta del Signore Gesù Cristo non è più in cima ai pensieri delle persone che pur si dicono cristiane. Dobbiamo constatare che oggi non si aspetta più il Signore come nella prima comunità cristiana. Come ha spiegato il teologo protestante Paul Tillich, non si aspetta il Signore perché si crede, anzi si pretende, di possederlo nella propria esperienza religiosa, nella propria istituzione ecclesiastica, nella propria dottrina teologica. Ma il signore, che così si pretende di possedere, non è più il Signore Gesù Cristo che ha promesso di ritornare per instaurare il suo regno di giustizia e di pace, ma un simulacro, un feticcio che serve solo a soddisfare il proprio bisogno di religiosità. La conseguenza di tutto ciò è che venendo meno l’attesa si perde la speranza e, con essa, anche la fede.
Ma proprio questo è il dramma nostro e del mondo di oggi i cui viviamo: che siamo unicamente legati al presente e incapaci non solo di volgere lo sguardo verso il passato, dal quale proveniamo e del quale non possiamo non tenere conto, ma anche e soprattutto di volgerlo verso il futuro, verso il quale dobbiamo in ogni modo andare, se non vogliamo restare fermi in una immobilità che rassomiglia molto alla morte.
Se non riusciamo a guardare al futuro, il futuro stesso finisce col dissolversi nel nulla, e il nostro presente, continuamente uguale a se stesso, resta schiacciato in mezzo alle avversità, alle preoccupazioni e alla paura, e costretto a un’affannosa quanto inutile ricerca di una via d’uscita da questo vicolo cieco. Infatti, il mondo di cui facciamo parte, che da secoli si illude orgogliosamente di risolvere da solo gli immani problemi che gravano su di esso e di superare i suoi drammi e le sue contraddizioni, non solo non è riuscito e non riesce a risolverli, ma ha finito con l’aggravarli, con il complicarli e con il renderli praticamente irrisolvibili, a causa dell’egoismo e della brama di possesso e di potere imperanti, in altre parole: a causa del suo peccato.
Il suo destino è dunque quello di finire nel nulla? Grazie a Dio, davanti a noi non sta il nulla, ma appunto il futuro di Dio, con la promessa che il Signore ritornerà e il suo regno sarà instaurato sulla terra, un regno di pace, di giustizia e di amore. Sta dunque a noi, specialmente in questo periodo d’Avvento che precede il Natale, in cui celebriamo la venuta del Signore Gesù Cristo sulla terra, sta a noi guardare con fede, con speranza e con pazienza in avanti, aspettando e testimoniando la nuova venuta del Signore, sapendo che le promesse di Dio hanno sempre in Cristo il loro compimento. Amen.
Renato Salvaggio