Predicazione di domenica 25 novembre 2018 sul testo di Isaia 65,17-25, a cura del pastore Peter Ciaccio, in occasione della Domenica liturgica dell’Eternità e della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
«Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima; esse non torneranno più in memoria. Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare; poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia. Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo; là non si udranno più voci di pianto né grida d’angoscia; non ci sarà più, in avvenire, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cent’anni morirà giovane e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent’anni. Essi costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi; i miei eletti godranno a lungo l’opera delle loro mani. Non si affaticheranno invano, non avranno più figli per vederli morire all’improvviso; poiché saranno la discendenza dei benedetti del Signore e i loro rampolli staranno con essi. Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi. Il lupo e l’agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere. Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo», dice il Signore.
Quando ero piccolo, mi ricordo che passavo il tempo a leggere Topolino. Non avevo un briciolo della vita sociale che ho adesso, non avevo molti amici, ma ero felice. Io e il mio Topolino: non mi mancava niente. Poi sono cresciuto un poco e ho cominciato ad avere diversi amici. Giocavamo a pallone per strada. C’era una casa, ovviamente una casa abusiva, oltre la metà del mio quartiere era fatta di case abusive. In questa casa in particolare, che si trovava al lato della strada dove giocavamo, finivano sempre i nostri palloni, dei SuperTele che compravamo a due-tremila lire. Avevamo inventato la leggenda che questa casa avesse uno scantinato, dove il padrone custodiva tutti i palloni che finivano lì e che non ci restituiva. Erano bei tempi.
Questi sono solo due dei ricordi belli della mia vita. Grazie a Dio, ce ne sono molti altri. Mi è piaciuto ricordarli, condividerli con voi questa mattina. Eppure, il testo di oggi ci dice: «non ci si ricorderà più delle cose di prima, esse non torneranno più in memoria». Perché?
Ci pare ovvio che il testo parli delle cose brutte. Il popolo cui si rivolge il profeta è un popolo che ha sofferto guerra, sconfitta e deportazione, avvenimenti che è forse meglio dimenticare, la cui memoria potrebbe paralizzarci, cambiarci, mutare il corso della nostra vita. Come fare a vivere una vita nuova se la vita vecchia è un fantasma, uno spettro presente nella mia esistenza?
Noi abbiamo trovato un metodo, che gli psicologi chiamano rimozione o memoria selettiva: ricordo solo quello che voglio ricordare. Spesso lo facciamo inconsciamente, automaticamente, senza nemmeno pensarci. Altre volte, invece, ci sforziamo attivamente a rimuovere gli eventi dolorosi del passato. E lo consigliamo agli altri: cosa diciamo, ad esempio, a chi ha vissuto un grande lutto? «Non ci pensare». Non ci pensare e quel passato brutto, quell’episodio, quella ferita sarà sanata.
Il profeta ci dice che le cose passate non saranno ricordate. Siamo sicuri che si tratti, però, solo delle cose brutte?
Nell’operazione di rimozione, a volte necessaria per carità, noi infatti corriamo un rischio: l’idealizzazione del passato. Un’idealizzazione che rischia di rovinare la vita nostra e delle altre persone. Parlo dei “bei tempi andati”, che poi alla fine erano probabilmente non propriamente “belli”, ma semplicemente momenti in cui c’era l’energia della gioventù, la prospettiva di un futuro, la protezione dei genitori, ma c’erano anche ombre.
Oggi, in nome dei “bei tempi andati”, viviamo spesso bloccati in un passato idealizzato, quel passato in cui giocavi a pallone per strada e ti dimentichi che qualcuno finiva sotto una macchina, ti dimentichi che giocavi per strada perché non c’erano campi di calcetto o perché non avevi soldi per affittarlo. Ti dimentichi che eri felice perché, nonostante tutto, nonostante tutto, eri riuscito a giocare. E ti dimentichi di chi era escluso dai tuoi giochi.
Non ricordo di avere avuto amici omosessuali con cui giocare, per fare un esempio. Non che non ci fossero, ma non si giocava con loro, un po’ perché si isolavano, un po’ perché erano diversi. Non giocavo neanche con le bambine e le ragazze. No, per carità, giocavo solo coi maschi. Le bambine e le ragazze erano altro, erano “animali strani”, diverse, affascinanti, terre di conquista (quando andava bene), insomma, “oggetti”, non “soggetti” alla pari.
Nei bei tempi andati c’era il germe dell’omofobia e della misoginia, in quella spensieratezza c’era il germe della violenza. Non è un caso che i pifferai di Hamelin del mondo sono quelli che ti seducono parlando dei bei tempi andati, che stuzzicano la tua nostalgia, che ti fanno rimpiangere un mondo che non c’è più, aumentando il tuo disprezzo per il presente, quel presente di problemi adulti, dove non ci sono più mamma e papà a proteggerti, dove la responsabilità di andare avanti pesa come un macigno.
Ricordate il pifferaio di Hamelin? Era il protagonista di quella fiaba dove un musicista catturava con le meravigliose e magiche note del suo flauto tutti i topi che infestavano la cittadina di Hamelin. Gli abitanti decidono di non pagarlo per il servizio e il pifferaio li punisce: suona il flauto e cattura tutti i bambini del paese che lo seguono fino a sparire (secondo alcune versioni, muoiono).
Quale melodia suonano i pifferai di Hamelin a noi contemporanei? «Ti ricordi quando tutti parlavano la tua lingua, quando erano tutti bianchi, quando non c’erano tutti questi gay, quando le donne stavano al loro posto, quando si poteva parlare tranquillamente senza questa paranoia del linguaggio inclusivo, quando questa mania del politicamente corretto non esisteva? Ti ricordi che bello? Ti ricordi quando c’era la lira e con mille lire, gli attuali 50 centesimi, compravi un gelato, quando con diecimila lire passavi la serata? Ti ricordi quando c’era musica che si capiva, che ti piaceva? Ti ricordi quando giocavi a pallone per strada con gli amici e non succedeva niente, quando passavi il tempo a leggere fumetti, senza preoccupazioni alcune? Ecco, quei bei tempi possiamo farli tornare insieme».
Questo ci dicono i pifferai di Hamelin di oggi, che seducono per portare le proprie vittime alla violenza, alla distruzione, alla morte.
Proprio il contrario, invece, ci dice e continua a dirci oggi il profeta. Tutto questo non tornerà. Non, però, perché andiamo verso la rovina, ma perché andiamo verso il sogno di Dio. «Ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra». Nuovi. Nuovi cieli e una nuova terra. Non i bei tempi andati, non il difficile presente di responsabilità, non il futuro incerto, ma nuovi cieli e una nuova terra.
Solo mantenendo questa prospettiva, allineando il nostro punto di vista a quello che ci offre Dio, solo così saremo resi immuni dal suono suadente degli odierni pifferai di Hamelin.
«Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi»: non ci saranno più furti, sopraffazioni, abusi né arroganze del potente di turno. «Il lupo e l’agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere». Significa che arriverà un giorno in cui non ci saranno più prede e predatori, in cui non ci sarà più violenza contro le donne, non ci sarà più violenza contro uno straniero, un diverso, un omosessuale, un nero. Non ci saranno più. Altro che bei tempi andati, altro che nostalgia!
Prima di chiudere, un pensiero oggi va a Silvia Romano, la giovane volontaria rapita in Kenya. Non sappiamo cosa sta vivendo in questo momento. Sappiamo molti dicono di lei, qui, nel nostro paese. Un’incosciente, una che ci costerà un sacco di soldi in riscatto, una che si è fatta bella ad aiutare i poveri in Kenya quando avrebbe potuto aiutare i poveri qui, una che se l’è cercata. No, è una donna che ha creduto che i bei tempi andati potessero essere dimenticati, una donna che ha creduto che si possa costruire un nuovo mondo, con nuove relazioni, con la solidarietà che prende il posto della violenza. Non la conosco, non so se sia credente, ma il suo sogno è vicino al sogno di Dio. E non importa che il lupo ha catturato l’agnello. Importa che l’agnello crede che un giorno il lupo non lo catturerà più. Importa che l’agnello crede che non c’è bisogno di diventare lupi per cambiare le cose. Non è un caso che le masse ammaliate dal suadente richiamo degli odierni pifferai di Hamelin disprezzino chi sogna il sogno di Dio, invece di rimpiangere i bei tempi andati in cui ognuno stava e restava a casa sua.
E noi, oggi, rispondiamo al sogno di Dio con la preghiera. Preghiamo per Silvia, preghiamo per tutte le donne che subiscono violenza. E preghiamo con una consapevolezza diversa, perché l’annuncio del profeta oggi ci dice: «Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi».
Amen.