Predicazione del pastore Peter Ciaccio presso le chiese valdesi di Taranto e Brindisi, domenica 19 marzo in occasione della domenica della legalità
Il Signore mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse:
«C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa».
Davide si adirò moltissimo contro quell’uomo e disse a Natan: «Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita la morte; e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà».
Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo signore e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo signore; ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo era troppo poco, vi avrei aggiunto anche dell’altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai fatto uccidere Uria, l’Ittita, hai preso per te sua moglie e hai ucciso lui con la spada dei figli di Ammon. Ora dunque la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, perché tu mi hai disprezzato e hai preso per te la moglie di Uria, l’Ittita”. Così dice il Signore: “Ecco, io farò venire addosso a te delle sciagure dall’interno della tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che si unirà a loro alla luce di questo sole; poiché tu lo hai fatto in segreto; ma io farò questo davanti a tutto Israele e in faccia al sole”».
Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morrai. Tuttavia, siccome facendo così tu hai dato ai nemici del Signore ampia occasione di bestemmiare, il figlio che ti è nato dovrà morire». Natan tornò a casa sua. [2 Samuele 12,1-14]
«Che sarà mai?»
Quante volte abbiamo pensato o detto questa frase, che suona come una domanda, ma che in realtà ha già in sé la risposta: «Niente». «Che sarà mai?» «Niente!» Conosciamo tutti la storia del re Davide. Magari non tutta, ma spero che almeno un paio di particolari ci vengano in mente: il mitico duello col gigante Golia e la relazione proibita con Betsabea. Ed è sul secondo particolare che riflettiamo oggi.
Davide non è più il pastorello con la fionda e non è più neanche in lotta con Saul per prendere il trono d’Israele. Il trono è suo, vi è seduto sopra, e nessuno glielo contende. Ci viene raccontato che Davide si accorse di Betsabea guardandola dalla finestra. Lei era nella casa di fronte. E Davide rimane colpito dalla bellezza di questa donna, nonostante non solo si trovi in un’altra casa, ma appartiene a un’altra casa. Betsabea è la moglie di Uria, uno degli ufficiali più fedeli dell’esercito d’Israele, uno straniero che ha eletto Israele a sua patria e, di conseguenza, Davide a suo re.
Non deve essere stata la prima volta che Davide incontrava Betsabea, ma è la prima volta che si insinua in lui un desiderio, accompagnato da un pensiero «Che sarà mai?» Davide si appresta a trasgredire la legge, le regole, i limiti del proprio potere, pre-assolto dalla sua coscienza. «Che sarà mai? Niente!»
E invece non è così. Davide non prevede le conseguenze delle sue azioni. Sottovaluta il valore della Legge come limite, come protezione rispetto al Male, come salvaguardia per gli altri, ma anche per lui, rispetto alle proprie potenzialità. Davide ha la possibilità di fare tutto. I limiti della legge ci sono anzitutto per proteggere lui stesso da se stesso, da quel che potrebbe fare.
Tutto parte da un desiderio, un pensiero. Oggi, nella società delle immagini e dello spettacolo, è difficile capire che non bisogna fare lo stesso errore di Davide, cioè sottovalutare quel desiderio. Chi è Betsabea? È una donna che ho visto dal balcone, è distante, che male posso fare se mi sorge un desiderio di lei? Non è un caso se tra i Dieci Comandamenti, quello che ci appare più difficile da capire sia proprio l’ultimo: non desiderare ciò che appartiene ad altri. Come faccio a condannare un desiderio?
Ci arriviamo tra poco. Continuiamo con le conseguenze del desiderio di Davide. Betsabea cede al corteggiamento di Davide. Certamente anche lei è responsabile, ma lei non ha lo stesso potere del re. Nella Bibbia troviamo quell’altra storia di Giuseppe in Egitto, che rifiuta le avance della moglie del suo padrone, e questo non lo protegge dal carcere, perché lei era più potente. Non soffermiamoci dunque su Betsabea.
La trasgressione di Davide non è un semplice sfizio che si è tolto con una notte di amore. Betsabea rimane incinta. Presto sarà evidente che il garante della Legge ha violato la Legge. E Davide cede a un’altra tentazione: cerchiamo di coprire tutto. Mandiamo Uria in battaglia, tanto è nelle possibilità che non torni vivo, aumentiamo le probabilità. Tanto. «Che sarà mai?» Di fronte alla necessità di proteggere il trono, l’unità della nazione, il sentimento del popolo, che sarà mai la morte in battaglia di un soldato, che è pure straniero? La risposta autoassolutoria è «Niente!»
Come risponde Dio all’autoassoluzione del «Che sarà mai?» Con un autocondanna. Dio manda il profeta Nathan da Davide con una missione: annunciare il giudizio di Dio. Ma quel giudizio era già insito nella Legge. E allora, come fare? Con una parabola, con una storia. Tra parentesi, ecco perché la Bibbia non è un codice di leggi, ma una raccolta di storie: perché possiamo relazionarci di più alle storie che alle leggi.
Nathan racconta una storia che, apparentemente, non c’entra nulla con Davide, con Betsabea, con Uria, col sesso. Una storia di pecore. E Davide non si accorge dello stratagemma di Nathan. «Quell’uomo merita la morte» «Quell’uomo sei tu» A te che ti sei autoassolto, Dio offre l’autocondanna. Il giudizio di Dio è pronunciato dal condannato.
Torniamo al punto dove sono cominciati i guai, quando Davide ha sottovalutato il desiderio e le sue conseguenze. «Che sarà mai?» Questo comandamento un po’ strano: come si fa a condannare un desiderio e non un’azione, un malefatto? Nathan lo dice: Dio ti ha dato tutto e tu hai disprezzato quel che Dio ti ha dato. Il desiderio di Davide non è semplicemente un impulso, un istinto, quasi un qualcosa di naturale che gli è venuto e non può farci nulla. No, è qualcosa di più grave: è disprezzo dei doni, delle benedizioni, dell’amore che Dio ha avuto per te. L’amore di Dio non mi basta, voglio di più. Ed ecco che il «Che sarà mai?» vacilla.
Cosa c’entra questa storia con la giornata della legalità? Cosa c’entriamo noi con questa storia? Nessuno di noi è un re potente come Davide. Eppure, anche noi, nel nostro piccolo, cediamo, sottovalutiamo, non guardiamo all’importanza delle piccole cose, quelle piccole cose che Gesù ci insegna a guardare, a valutare, a prendere in considerazione. Anche noi cediamo. «Non c’è nessuno, che sarà mai? Che danno faccio?» Ma ne siamo così sicuri?
Questa storia ci insegna che qualunque cosa facciamo, Dio non ci abbandona. Nathan non è l’ufficiale giudiziario che ci recapita la multa per divieto di sosta. Nathan non dice: «Metta la firma qui». Nathan rappresenta Dio che vuole che noi siamo consapevoli di quel che possiamo fare, di quel che abbiamo fatto, delle conseguenze. Non è una legge semplicemente imposta. È il nostro spazio di libertà. Una libertà che Dio vuole noi viviamo in maniera consapevole e grata. L’errore di Davide è stato sottovalutare il suo desiderio, ma soprattutto sottovalutare l’amore di Dio e le conseguenti benedizioni.